Quando “Il Piave mormorava”: 108 anni fa iniziava la Grande Guerra dell’Italia

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La “Canzone del Piave” ricorda l’entrata dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale: “Il Piave mormorava” e i fanti aprirono il fuoco contro gli austriaci

Il Piave mormorava/calmo e placido, al passaggio/ dei primi fanti, il 24 maggio”.

Chi, almeno una volta nella vita, non ha sentito questi versi? Sono quelli de “La Canzone del Piave” (anche nota come “La Leggenda del Piave”), inno patriottico composto nel giugno 1918 da E.A. Mario (pseudonimo di Giovanni Ermete Gaeta). Il canzoniere napoletano iniziò la stesura del testo dopo la Battaglia del Solstizio, decisiva per il ribaltamento della situazione al fronte.

Il Generale Armando Diaz, infatti, dopo la vittoria italiana mandò un telegramma al compositore spiegandogli come la canzone avesse contribuito al risollevamento del morale delle truppe. Non tutti sanno che “La Canzone del Piave” fu impiegata come inno nazionale prima del “Canto degli Italiani”, seppur per un breve periodo di tempo.


INDICE

– Prima Guerra Mondiale: gli antefatti
– “Il Piave mormorava”: i fanti italiani entrano in azione
– La disfatta di Caporetto: “Il Piave mormorò: Ritorna lo straniero”
– “Il Piave comandò: Indietro va’, straniero”, da Caporetto fino alla vittoria
– “Il Piave mormorava”: la canzone dopo la Grande Guerra


Prima Guerra Mondiale: gli antefatti

All’alba del Novecento, l’Europa era una polveriera pronta a esplodere.

Il sistema degli Stati Nazionali era infatti degenerato in un crescente nazionalismo che portò a una improvvisa corsa agli armamenti, sempre più moderni e letali. L’episodio che fece deflagrare il conflitto fu l’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo il 28 giugno 1914.

In poco tempo gli Stati Nazionali – incastrati in un funesto gioco di alleanze – vennero trascinati in guerra. Tutti si aspettavano un conflitto-lampo, ma ben presto i soldati si ritrovarono invischiati nel fango delle trincee, al riparo dai cecchini e dal fuoco indiscriminato delle prime mitragliatrici. Inutile fu in questa circostanza finanche la presenza dei primi carri armati, non adatti a oltrepassare le profonde trincee.

Anche l’Italia era inserita in un sistema di protezione reciproca, la Triplice Alleanza, che comprendeva l’Austria-Ungheria e l’Impero germanico. Tuttavia, l’Impero austro-ungarico aveva ancora il controllo del Tirolo meridionale (Trentino Alto-Adige), della parte orientale del Friuli Venezia e dell’Istria. Tutti territori, questi, che il Regno d’Italia voleva annettere. Per questo il ministro degli Esteri Sidney Sonnino volò a Londra il 26 aprile 1915 per impegnarsi militarmente (e segretamente) con la Triplice intesa, composta da Gran Bretagna, Francia e Impero russo.

“Il Piave mormorava”: i fanti italiani entrano in azione

Nel Paese, nel frattempo, si consumavano accesi dibattiti tra “interventisti” e “neutralisti”. Il confronto vedeva da un lato coloro che vedevano nella Grande guerra un’opportunità irripetibile per far entrare l’Italia nel salotto delle grandi potenze europee e dall’altro chi avrebbe preferito non partecipare al conflitto.

Alla fine gli “interventisti” riuscirono nel loro intento. L’opinione pubblica, infatti, si convinse che l’Italia avrebbe dovuto necessariamente conquistare quei territori ancora nelle mani degli austriaci per completare il processo di unità iniziato nel Risorgimento. Sullo sfondo, la Prima guerra mondiale iniziava a mostrare il suo volto nefasto, ma ormai il dado era tratto. Nelle clausole del Patto di Londra siglato da Sonnino c’era scritto che l’Italia sarebbe dovuta entrare in guerra entro 30 giorni dalla firma del documento. E così, puntuale all’appuntamento, il Regno d’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria (23 maggio 1915).

Il giorno seguente i primi fanti attraversarono il Piave che, scorrendo a Nord dell’Altopiano di Asiago segnava il confine con il territorio austriaco. “Il Piave mormorava/Calmo e placido, al passaggio/Dei primi fanti, il 24 maggio/L’esercito marciava/Per raggiunger la frontiera/Per far contro il nemico una barriera”, recita infatti il testo de “La Canzone del Piave”.
Alle ore 4 del mattino il primo colpo di cannone sparato dal Forte Verena verso i nemici segnava l’inizio delle operazioni militari del Regio Esercito italiano.

La disfatta di Caporetto: “Il Piave mormorò: Ritorna lo straniero”

L’esercito italiano, nonostante i russi stessero facendo pressione da Est, non riuscì che a guadagnare pochi chilometri. Le sanguinosissime battaglie dell’Isonzo, infatti, costarono all’Italia centinaia di migliaia di perdite. In più, le truppe austriache erano meglio equipaggiate e le linee di comunicazione da Vienna erano di gran lunga più fluide rispetto a quelle italiane. Sfruttando questi vantaggi, gli austriaci effettuarono una ritirata strategica per raccogliere le forze al fine di sferrare un assalto decisivo che gettasse nel panico le linee italiane.

L’occasione si concretizzò il 24 ottobre 1917 a Caporetto (oggi territorio sloveno), città situata in una posizione strategica rispetto alla valle dell’Isonzo. I reparti del Regio Esercito sottovalutarono l’ipotesi che il nemico potesse sfondare in quella località; da qui infatti sarebbe stato più semplice arrivare fino a Udine, dove stazionavano le retrovie e i centri logistici del Regio Esercito. Concentrati sul fronte di Gorizia, a pochi chilometri dal mare, ai soldati italiani venne infine comunicato che la fanteria austriaca aveva iniziato ad avanzare velocemente, sfruttando il terreno pianeggiante.

A quel punto la rotta fu totale. Le unità di avanguardia (2a Armata e 3a Armata) vennero circondate all’altezza di Cividale e Gorizia mentre la ritirata delle retrovie procedeva in modo caotico, favorendo insubordinazioni e ammutinamenti. Il re Vittorio Emanuele III, detto “Sciaboletta” per la sua bassa statura, decise quindi di rimuovere dal comando generale Luigi Cadorna per rimpiazzarlo con Armando Diaz (8 novembre 1917).

Nel frattempo, sul campo gli austriaci arrivarono fino alla foce del Piave (12 novembre), minacciando di arrivare fino a Treviso, a Venezia e – addirittura – a Milano. Questo avrebbe sancito una disfatta ancor più nefasta. Tuttavia l’avvento di Diaz galvanizzò le truppe che al di qua del Piave iniziavano a riorganizzarsi.

“Il Piave comandò: Indietro va’, straniero”, da Caporetto fino alla vittoria

Con l’ingresso in guerra degli Stati Uniti la Germania si ritrovò fortemente impegnata sul fronte occidentale. Di conseguenza, i rifornimenti tedeschi arrivavano sempre più radi sul fronte italiano e l’Austria-Ungheria ebbe difficoltà ad amministrare i territori conquistati dopo Caporetto. Per di più gli acquazzoni autunnali avevano ingrossato il Piave, che – secondo “La Canzone del Piave” – disse di “No” all’avanzata nemica dispiegando le sue onde.

L’Italia, rinvigorita dalla resistenza all’avanzata nemica, anticipò la controffensiva di un anno e il 15 giugno del 1918 gli italiani si ritrovarono a passare il Piave per la seconda volta: è l’inizio della cosiddetta “Battaglia del Solstizio”. Con la graduale disfatta dell’esercito tedesco a Ovest, i generali della Triplice Intesa sollecitarono il Generale Diaz affinché affondasse l’offensiva decisiva. Sul fronte, nel frattempo, iniziava a circolare sulla bocca di tutti una certa canzone patriottica: “Il Piave mormorava/calmo e placido, al passaggio/ dei primi fanti, il 24 maggio”. Un inno, questo, che risollevò le truppe, annichilite dopo Caporetto.

Così, Armando Diaz elaborò un piano per rompere la difesa austro-ungarica in un unico punto: la città di Vittorio Veneto, punto di congiunzione nemica tra la 5a e la 6a Armata. L’attacco italiano (supportato dagli Alleati) procedette a spron battuto fino alla sera del 29 ottobre 1918, quando da Vienna il generale Borojević ricevette l’ordine di ritirata generale.

La vittoria era dunque conquistata, ma il bilancio pagato dagli italiani fu altissimo. Tuttavia, alla fine delle ostilità, il generale Diaz inviò a E.A. Mario un telegramma per sottolineare quanto preziosa fosse stata “La Canzone del Piave”. Scrisse infatti il comandante: “Mario, la vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un generale!”.

“Il Piave mormorava”: la canzone dopo la Grande Guerra

La notorietà della canzone, pubblicata ufficialmente a conflitto concluso, fu immediata. Tuttavia “La Leggenda del Piave” rimase confinata a inno patriottico. Le sorti delle quattro strofe scritte da E.A. Mario cambiarono sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Dopo l’Armistizio di Cassibile, infatti, la monarchia in Italia aveva subito un’onta indelebile. Il governo provvisorio italiano bandì la “Marcia Reale” come inno nazionale, preferendogli proprio “La Canzone del Piave”. Al ritorno del re la Marcia tornò in auge, salvo poi essere sostituita ancora da “La Leggenda del Piave” (referendum istituzionale del 1946). Tuttavia, il 12 ottobre dello stesso anno la Repubblica italiana indicò il “Canto degli Italiani” di Goffredo Mameli e Michele Novaro come nuovo inno nazionale.

Nonostante ciò, in occasione di determinate parate militari, le bande orchestrali delle Forze Armate intonano ancora le note de “La Canzone del Piave” e i versi patriottici più famosi d’Italia tornano a fare capolino sulle bocche degli italiani: “Il Piave mormorava/calmo e placido, al passaggio/ dei primi fanti, il 24 maggio”.

Per ricevere maggiori info, contattaci subito, un incaricato della Nissolino Corsi ti risponderà il prima possibile.

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